jueves, 29 de noviembre de 2012


Festival de Mar del Plata: “Volveremos a las montañas!”, de Andrés Di Tella

No vi tanto cine argentino en esta edición del Festival de Mar del Plata. Un motivo fue la falta de tiempo (estuve sólo cinco días) y, otro, el hecho de que muchas ya las había visto antes. Pensándolo ahora, se me ocurre un tercer factor que me hizo no verlas y que considero potencialmente más preocupante: me estoy agotando un poco del cine nacional. Tal vez esta andanada de estrenos de los últimos meses (van 130 en el año de los cuales ¡46! se estrenaron en los últimos tres meses, a razón de 3,5 por semana) me haya hecho empezar a perder la paciencia, a convencerme cada vez más que muchas películas se hacen sólo por el negocio que implica hacerlas, y que cada vez hay menos creatividad, originalidad e interés en ella. Si a uno, que se dedica a esto y que ha venido siguiendo casi película a película la evolución del cine nacional en los últimos 20 años le pasa ésto, ni quiero imaginar lo que le sucede al espectador común.
Pero sí, había visto algunas antes, otras comenté en las entradas previas (bah, solo una, FANGO, de José Campusano) y me perdí muchas de las que me hablaron bastante bien. Una tarde, sin embargo, por curiosidad, me fui a ver VOLVEREMOS A LAS MONTAÑAS!, un documental de poco más de 50 minutos dirigido por Andrés Di Tella que estaba medio escondido en la programación: fuera de competencia alguna, como función especial de la sección autores. Es un documental, entiendo, que se emitirá en breve por el canal Encuentro, y tal vez el realizador de FOTOGRAFIAS no lo considera dentro del “cuadro principal” de su obra.
Sin embargo, fue para mí una de las joyitas del festival (decir “revelación” no tiene sentido, Andrés es ya un viejo conocido del cine nacional), un documental que narra lo que fue la experiencia del Centro Latinoamericano de Altos Estudios Musicales del Instituto Di Tella, conocido como CLAEM, laboratorio de experimentación musical que estuvo activo durante los años ’60 para cerrar en 1971, y por el que pasaron profesores (fijos o invitados) como Aaron Copland, Olivier Messiaen, Bruno Maderna, Iannis Xenakis, Umberto Eco. Entre lo encargados locales de la institución estaban Alberto Ginastera, Gerardo Gandini y Pola Suárez Uturbey, entre otros.
Pero el filme no cuenta la historia de manera convencional, sino que Di Tella arma una reunión de ex alumnos en los que ellos vuelven a Buenos Aires (son de toda América Latina), recuerdan anécdotas del Centro, pasean por la ciudad y recorren lo que fue el lugar (que hoy ya no existe) y, además, colaboran con la presentación de obras experimentales suyas que hace un grupo de jóvenes músicos, cuyo climax será la presentación de la pieza que da título al filme, que fue censurada en su momento, en 1968.
El documental logra humanizar la experiencia, y a través de eso, ponernos en contacto con lo que fue ese mundo, fuera del registro del documental clásico. Di Tella, que aparece un poco como investigador de ese pasado familiar (la breve charla con Torcuato, su padre, termina con una frase desopilante) va llevando a los personajes a compartir emociones y experiencias, de manera si se quiere desorganizada, pero muy íntima y personal. De esa manera, no sólo transmite lo que fue el lugar en cuanto a centro de experimentación y vanguardia sino que permite ponernos en la piel de los que pasaron por ahí y que hoy lo recuerdan con emoción, nostalgia y cariño.
Tal vez, para Di Tella, VOLVEREMOS A LAS MONTAÑAS! sea un filme menor, menos ambicioso que otros suyos, pero esa pequeñez y discreción es la que lo ennoblece aún más. Tal ve sea una historia chiquita contada de manera chiquita, pero sus repercusiones terminan siendo enormes, al punto que uno no puede evitar preguntarse si, de alguna manera, “volveremos a las montañas”, si existe la posibilidad a futuro de pensar la cultura de esa manera tan radical y vanguardista. Una hermosa película.
-Diego Lerer

http://micropsia.otroscines.com/2012/11/festival-de-mar-del-plata-volveremos-a-las-montanas-de-andres-di-tella/

miércoles, 21 de noviembre de 2012

Lo más interesante de un artista no son sus opiniones


Di Tella opina en El federal de Fabián Casas: "Los más interesante de un artista no son sus opiniones". El Federal, 15 de noviembre 2012.

¡Volveremos a las montañas! (Mar del Plata)

¡VOLVEREMOS A LAS MONTAÑAS! 
Andrés Di Tella (Argentina, 2012, 50')

Festival Internacional de Cine de Mar del Plata 

viernes 23/11 20hs
sábado 24/11 17.30hs 
Cinema 1 / Rivadavia 3050 / Mar del Plata

martes, 20 de noviembre de 2012

jueves, 15 de noviembre de 2012

Incontro con Andrés Di Tella


Incontro con Andrés Di Tella, Festival dei Popoli, Firenze, mercoledí 14 novembro 2012. Con curaduria di Daniele Dottorini.

miércoles, 14 de noviembre de 2012

"Storie, individui, emozioni ecco il mio documetario da camera"

LA REPUBBLICA. Nov 14, 2012

FESTIVAL DEI POPOLI

"Storie, individui, emozioni
ecco il mio documetario da camera"

Intervista col regista argentino Andrés Di Tella, al quale la rassegna dedica fra Odeon e Spaziouno la retrospettiva completa dei suoi film. Il 14 l'autore incontra il pubblico per presentare il suo lavoro su guerriglia Montoneros, dittatura e desaparecidos

di PAOLO RUSSO

Andrés Di Tella ha 54 anni, una faccia simpatica, aperta. E intelligente. Un modo di raccontare le cose acuto e appassionato. Una storia familiare importante (il nonno Torquato arrivò a Buenos Aires dagli Abruzzi, divenne imprenditore di grande successo e, da socialista, finanziò riviste antifasciste pubblicate in Francia venendo perciò privato del passaporto; il padre Torcuato, sociologo e storico di fama con una cinquantina di libri in curriculum, alcuni tradotti anche in italiano, fondatore dell’Istituto Di Tella, faro della cultura argentina nei Sessanta oggi divenuto università, segretario della Cultura del primo governo Kirchner, è da due anni l’ambasciatore d’Argentina a Roma). Dopo la laurea in letteratura a Oxford, Di Tella lavora per varie tv anglosassoni e argentine, scrive sui giornali e fotografa. All’inizio dei Novanta trova nel documentario il compendio ideale delle sue aspirazioni fra narrazione del reale e ricerca visiva. Mettendo insieme una carriera che ai generosi riconoscimenti internazionali aggiunge ora una delle due retrospettive del Festival dei Popoli 2012 (l’altra è dedicata a un mostro sacro, Raymond Depardon): otto lunghi e corti dal ’90 a oggi, che fra Odeon e Spaziouno (orari www.festivaldeipopoli.org; 055/295051) raccontano - col suo ormai inconfondibile stile intimo, da camera, emozionale, col regista spesso in campo a diretto contatto coi personaggi che fa parlare dopo essersene conquistata la fiducia - la Storia della sua Argentina, dallo sterminio degli indios 
di fine Ottocento (El pays del diablo) alla guerriglia peronista (Montoneros: una historia) alla figura di Macedonio Fernandez (il 15 alle 17), il maestro di Borges, e le storie, come quella della famiglia del regista, nato da una madre indiana e poi esule con tutta la famiglia a Londra (Fotografias). Per spingersi anche sul terreno dell’indagine sui media (La television y yoReconstruyen crime de la modelo a Spaziouno il 15 alle 17, Prohibido a Spaziouno il 16 alle 16.45) e della pura sperimentazione audiovisiva (Hachazos, sulla vita e l’opera del regista Claudio Caldini, nume dimenticato dell’underground argentino, all’Odeon il 17 alle 17.30). Un affabulatore, un contastorie per immagini e parole sempre in cerca delle vicende degli individui nella Storia smarrite fra le onde dei grandi eventi. Il 14 (Spazionuno, ore 17), dopo Montoneros (ore 15) Di Tella incontra il pubblico e sabato 17 (posti già esauriti) tiene un laboratorio per autori.

Come è nato questo suo stile così privato di girare documentari?«Il mio è in effetti un lavoro sull’intimità, il contrario di quello che ci si aspetta da un documentario, che per tradizione parla del sociale, del contesto e delle categorie di individui ma non di quello che sta dentro la persona. A me invece interessa molto quello che passa nella testa e nel cuore delle persone, la loro unicità, l’esperienza degli individui e non il gruppo che rappresentano: per ciò mi dedico alle storie private, credo che attraverso il racconto dell’esperienza individuale si illumini anche quella sociale in un modo che permette allo spettatore di creare la sua propria relazione con ciò che vede e sente nel film. Un esempio: Ana, la persona la cui storia mi ha permesso di raccontare quella dei Montoneros, non è la figura più rappresentativa del movimento, non è stata un capo e un eroe, ma con lei lo spettatore può avere affinità e sintonia. Ho fatto almeno 50 interviste e indagini per quel film, e con lei ho sentito che ci si poteva mettere a tu per tu mettendo da parte discorsi, generalizzazioni e ideologia: anche non avendo vissuto militanze e guerriglie, puoi per un momento metterti nelle scarpa di Ana. Così facendo credo si possa capire in modo anche emozionale un fatto e avere al contempo il massimo delle informazioni. Sulle quali privilegio l’esperienza: oggi c’è secondo me un pesantissimo, pericoloso eccesso di informazione, la scelta di trasmettere anche emozioni insieme alle informazioni è la mia risposta al trauma di esserne sopraffatti e quindi non poterle elaborare. Il mio documentario intimista, da camera, cerca di uscire da questo flusso fatto solo di informazioni e aprire un dialogo fra le persone. Quel che cerco è che lo spettatore senta che nei miei film c’è un altro individuo che gli sta parlando».

Un modo di lavorare in cui la fiducia diventa fondamentale... 
«Costruire una relazione è il problema più importante. Noi documentaristi siamo un po’ come vampiri, viviamo del sangue degli altri, ma ho imparato dall’esperienza che le persone si offrono, offrono il loro sangue e la giugulare perché è una necessità e un istinto raccontarsi con la propria storia. Tutti stiamo sempre aspettando solo l’occasione, alcuni di raccontarsi, altri di sapere. Chiaro, serve fiducia per arrivarci e bisogna saperla costruire questa fiducia: il mio lavoro è proprio costruire una narrazione che rifletta la relazione che ho saputo costruire e la mia propria esperienza nel conoscere quella tal persona. E il film è esattamente la sintesi della mia esperienza di quella relazione: la cosa fondamentale è essere fedele a quella esperienza, all’incontro e al dialogo che ne sono scaturiti. La prima regola è: non falsificare mai la mia esperienza in funzione di una idea preconcetta. Tornando ad Ana, c’erano in ballo l’ideologia, la discussione e il compromesso politico, il perché lei entrò nella guerriglia. La fiducia nella nostra relazione le permise di raccontarmi che fu perché si innamorò di Juan durante un suo comizio, lui era un leader e un bell’uomo, e lei appena lo vide sul palco sognò di viverci una avventura insieme: politica e amore erano la stessa cosa. Per un ragazzo oggi è impensabile prendere in mano un mitra per ideologia, ma può capire che sia successo per una scelta di vita insieme, una sorta di immersione in un mondo».

Con Montoneros lei ha affrontato una pagina complessa e sanguinosa della storia argentina, una storia molto difficile da raccontare...

«Una storia complessa, non c’è dubbio, che fa i conti con un fenomeno unico come il peronismo. Ora in Argentina c’è un governo di sinistra e peronista, lo era anche negli anni Novanta ma di destra. In questo paradosso si capisce che il peronismo è prima di tutto un movimento popolare: la classe operaia ci sta dentro, dunque la sinistra ha sempre avuto la necessità di legarsi al peronismo. I montoneros erano guerriglieri di estrazione cattolico-nazionalista e marxista contro il liberalismo. Pensavano di poter usare il peronismo, ma Peron li espulse, li fece apparire come infiltrati, e invece se ne era servito per abbattere la dittatura militare dell’epoca, quella del generale Lanusse. Dal ’70 al ’75 i Montoneros, che nell’80 non esistevano più, arrivarono ad avere una base popolare enorme e le loro azioni, rapimenti, omicidi, attacchi a obbiettivi militari, furono il pretesto principale per il golpe militare del ’76 che produsse 30.000 desaparecidos, la maggior parte militanti come Ana. Quando nel ’95 ho girato il mio film era tabù parlare della guerriglia: nell’83 al ritorno democrazia ci si rese conto che erano morti 30.000 innocenti, i desaparecidos, e se li presentavo come guerriglieri poteva sembrare che dessi una giustificazione ai militari. Poi, fra il mio film e alcuni libri usciti dopo, si iniziò a riparlare di quell’esperienza, un contributo decisivo venne dall’apparizione politica dei figli dei desaparecidos che reclamavano l’identità dei genitori, volevano sapere chi erano i loro padri e madri e cosa avevano fatto, se era montonero o marxisti dell’Esercito rivoluzionario popolo: divenne anche una questione identitaria, oltre che una tragedia nazionale, una ferita profondissima degli individui e della collettività. Nel governo attuale ci sono molti montoneros: alla fine il peronismo li ha assorbiti. E dal 2003 a oggi prima con Nestor Kirchner e poi con la sua vedova Cristina, anche lei una militante come Ana, sono andati al potere. Come se qui i leader del ’68 fossero nel governo».

Anche la conquista della Pampa nel secondo ottocento è una storia tragica, l’Argentina è il solo paese del Sud America in cui gli indios non esistono praticamente più da oltre un secolo...«La chiamarono la “Conquista del deserto” la campagna con la quale il governo  s’impossessò della Pampa, le grandi pianure a est e sud di Buenos Aires sulle cui risorse agricole e allevamenti l’Argentina creò la sua potenza economica. Fu di fatto una campagna militare di sterminio degli indios quella che si consumò fra 1870 e 1880: la chiamarono “campagna del deserto”, dove deserto significava che per il governo là non c’era nessuno, che per la nazione argentina gli indiani non abitanti ma un problema militare. Per El pays del diablo ho scelto di seguire il giornalista e geografo Estanislao Zeballos, che fu uno degli ideologi della necessità di sterminare gli indios per lo sviluppo della nazione: finita la guerra, rapidissima, fu il primo civile a esplorare i territori da secoli occupati dagli indio nella Pampa e in Patagonia. Di quei luoghi fu anche il primo cartografo: conobbe i pochissimi indio sopravvissuti e imparò la lingua mapuche per capire le descrizioni e la toponimia dei territori. Diventò dunque anche il primo antropologo e storico delle tribù indigene: il  primo antropologo argentino aveva le mani macchiate di sangue. E allora ho sentito il mio debito verso quelle popolazioni e ho deciso di seguire Zeballos perché quelle terre strappate agli indio anche per sua iniziativa finirono poi a beneficio degli immigrati italiani, come la mia famiglia: là era nato il benessere in cui sono nato e cresciuto».

martes, 13 de noviembre de 2012

Incontro pubblico con Andrés Di Tella


Incontro pubblico con Andrés Di Tella, uno degli autori più rappresentativi del cinema argentino contemporaneo. Profondo conoscitore della storia e della cultura del proprio paese, Andrés Di Tella ci propone dei “percorsi nella conoscenza”: viaggi, incontri, testimonianze si compongono in una narrazione appassionante e ricca di risvolti avventurosi.


Ore 17:00 Cinema Spazio Uno
Via del Sole 10 - Firenze (Ingresso gratuito).
http://www.festivaldeipopoli.org/en/blog/see_news/2012/programma-5-giorno/325

domingo, 11 de noviembre de 2012

EL DOCUMENTAL Y Yo: il cinema di Andrés Di Tella


FdP53 - EL DOCUMENTAL Y Yo: il cinema di Andrés Di Tella
Il Festival dei Popoli quest’anno dedicherà una retrospettiva al documentarista argentino Andrès Di Tella, considerato dalla critica uno dei migliori registi sperimentali sudamericani. Saranno in tutto otto i film che durante la retrospettiva fiorentina curata da Daniele Dottorini, mostreranno l’interessante percorso creativo di questo “cineasta – diarista”.

Andrés Di Tella nasce a Buenos Aires nel 1958 passando la sua infanzia all’estero. Dopo una laurea in Letteratura e lingue moderne all’Università di Oxford inizia a lavorare in televisione realizzando reportage e documentari. All’inizio degli anni Novanta torna in Argentina e continua a dirigere e a produrre documentari per diverse reti televisive locali, alternando l’attività di direzione a quella di saggista e docente. Negli ultimi anni il regista sta lavorando nell’ambito delle performance e delle installazioni legate al video.

Oltre alla retrospettiva dedicata a Di Tella il pubblico del Festival dei Popoli potrà seguirlo anche in un workshop dal titolo “El cuaderno de apuntes” (17 Novembre ). Di Tella propone dei veri e propri “percorsi nella conoscenza” con uno stile che intreccia il passato individuale e collettivo attraverso un uso molto personale del genere documentario. Ci sarà la possibilità di conoscere il regista anche Mercoledì 14 Novembre alle 17.00 al cinema Spazio Uno di Firenze, con ingresso libero.

11/11/2012, 09:17

Duccio Ricciardelli

miércoles, 7 de noviembre de 2012

¡Volveremos a las montañas!



¡VOLVEREMOS A LAS MONTAÑAS!
 Andrés Di Tella
 (Argentina, 2012, 50 min.)

Durante diez años, desde diciembre de 1961 hasta noviembre de 1971, existió en Buenos Aires un lugar donde la música contemporánea de América Latina cambió para siempre. Compositores jóvenes de toda América venían becados a Buenos Aires para trabajar, durante dos años, en un laboratorio: el Centro Latinoamericano de Altos Estudios Musicales del Instituto Di Tella. Medio siglo después, vuelven a Buenos Aires, con algunas cuentas pendientes.

Estreno mundial: 27 Festival Internacional de Cine de Mar del Plata 
17-25 de noviembre

lunes, 5 de noviembre de 2012

EL DOCUMENTAL Y YO: IL CINEMA DI ANDRÉS DI TELLA


  • EL PAÍS DEL DIABLO
    Land of the Devil

    Argentina 2008 72
    Regia: Andrés Di Tella
    Sinossi: Un regista ripercorre il cammino di Estanislao Zeballos, uno degli ideologi dello sterminio degli Indios in Argentina nel XIX secolo, che fu al tempo stesso il primo a studiarne tradizioni e cultura e a tentare di salvaguardarne la storia. Strutturato come un viaggio aperto, fatto di incontri inaspettati e di scoperte improvvise, il film rivela la particolare condizione di una memoria fatta di tracce minime e di fantasmi, con cui è però necessario fare i conti.
    2012 Martedì 13 novembre, Spazio Uno, ore 17:00
  • FOTOGRAFÍAS

    Argentina 2007 110
    Regia: Andrés Di Tella
    Sinossi: Alcune foto della propria madre sono il punto di partenza per Di Tella per un viaggio di scoperta di sé e per un incontro con un paese lontano, l’India, il paese di origine della madre. Ciò che può sembrare un ritratto diventa ben presto un autoritratto e un lavoro cinematografico capace di affrontare la complessità di un’esistenza, senza la pretesa di comprenderla del tutto, ma con la capacità di accompagnarne e individuarne gli snodi e i sentieri nascosti.
    2012 Lunedì 12 novembre, Spazio Uno, ore 21:00
  • HACHAZOS
    Blows of the Axe

    Argentina 2012 83
    Regia: Andrés Di Tella
    Sinossi: Non un film “su”, ma un film “con” Claudio Caldini, definito da Di Tella “cineasta segreto”; regista sperimentale, rappresentante di una generazione scomparsa dalla storia del cinema argentino, quella del cinema sperimentale. Il film è l’incontro tra due cineasti, tra due sguardi, un incontro che è anche un corpo a corpo, un confronto tra tempi diversi del cinema, tra visioni e pratiche che si mettono in gioco.
    2012 Sabato 17 novembre, Odeon, ore 17:30
  • LA TELEVISIÓN Y YO

    Argentina 2003 75
    Regia: Andrés Di Tella
    Sinossi: Saggio teorico e viaggio di scoperta, interrogazione aperta e ricerca di una forma filmica nuova: La televisión y yo è tutto questo e anche altro. Nel film il regista si mette in gioco direttamente, a partire dal proprio rapporto con il mondo dei media, con l’immaginario televisivo che ha forgiato la sua generazione e le generazioni successive. Saggio sulla storia dei media in Argentina, il film diventa ben presto un racconto di un soggetto che si mette in scena e al tempo stesso, mette in scena il proprio immaginario.
    2012 Lunedì 12 novembre, Spazio Uno, ore 17:00
  • MACEDONIO FERNÁNDEZ

    Argentina 1995 45
    Regia: Andrés Di Tella
    Sinossi: Il film è un lavoro sulla memoria della letteratura, sulle immagini di cui si nutre. Un viaggio filmico con lo scrittore e sceneggiatore Ricardo Piglia lungo i luoghi di Buenos Aires che appartengono all’immaginario letterario del poeta Macedonio Fernández. Il film porta lo spettatore all’interno di un gioco di rimandi immaginari e reali al tempo stesso, quelli che legano insieme, parole e immagini, letteratura e cinema, nello spazio della città.
    2012 Giovedì 15 novembre, Spazio Uno, ore 17:00
  • MONTONEROS, UNA HISTORIA

    Argentina 1994 98
    Regia: Andrés Di Tella
    Sinossi: Attraverso lo sguardo e la voce di Ana, ex militante del gruppo armato dei Montoneros, il film diventa una sorta di viaggio lungo il passato, fatto di voci e racconti, tracce di memoria rimaste nascoste per anni, in cui la storia individuale diventa frammento di un racconto collettivo e, al tempo stesso, rivelazione dell’umano, della fragilità e della forza di chi ha vissuto drammaticamente gli anni più terribili della storia argentina recente.
    2012 Mercoledì 14 novembre, Spazio Uno, ore 15:00
  • PROHIBIDO

    Argentina 1997 106
    Regia: Andrés Di Tella
    Sinossi: Un’indagine sulle forme della cultura, della produzione culturale e intellettuale durante l’ultima, sanguinosa dittatura argentina. L’uso dei media e lo spazio del teatro, le forme del cinema e della diffusione di riviste o libri. Protagonisti della cultura raccontano una storia collettiva. Ciò che emerge è non solo una ricostruzione di un particolare momento storico, ma anche uno straordinario saggio sulla paura e sul silenzio.
    2012 Venerdì 16 novembre, Spazio Uno, ore 16:45
  • RECONSTRUYEN CRIMEN DE LA MODELO

    Argentina 1990 8
    Regia: Andrés Di Tella
    Sinossi: Lavoro di found footage su un programma televisivo che mostra la messa in scena da parte della polizia di un famoso delitto di una modella argentina. Il lavoro sulle immagini e sul suono svela i vari livelli della messa in scena, la stratificazione di una finzione di secondo livello, il cui esito finale non è solo quello di raggiungere una verità ma di costruire un percorso in cui la forma televisiva si mostra, alla fine, come cinema, cioè come creazione di racconti.
    2012 Giovedì 15 novembre, Spazio Uno, ore 17:00